Contraffazione del brevetto e rivendicazioni invalide: sì alla tutela anche in caso di nullità della rivendicazione principale
Con sentenza n. 1599/2025 del 5 maggio 2025, la Corte d’Appello di Venezia, Sezione specializzata in materia di impresa, ha sancito la possibilità di ottenere una sentenza dichiarativa di contraffazione ed i conseguenti rimedi inibitori e risarcitori anche rispetto a un brevetto la cui rivendicazione principale sia dichiarata nulla.
La causa era stata intentata da una società specializzata in macchinari per la lavorazione di gioielli e pietre preziose, titolare di un brevetto italiano relativo a una macchina diamantatrice, contro due concorrenti accusate di commercializzare un macchinario interferente con la privativa in questione.
In primo grado, il CTU, incaricato dal Tribunale di esaminare la validità del brevetto – contestata con domanda riconvenzionale dalle convenute – aveva concluso che la rivendicazione principale 1 fosse carente di altezza inventiva, ma che la combinazione di tale rivendicazione con la rivendicazione dipendente 14 desse luogo a una rivendicazione indipendente «nuova e non ovvia».
Il Tribunale, facendo proprie le conclusioni del CTU, aveva ritenuto il brevetto «valido e violato», disponendo nei confronti delle convenute provvedimenti inibitori e la condanna al risarcimento del danno.
In appello, tuttavia, la sentenza era stata integralmente riformata: la Corte aveva dichiarato nullo il brevetto, rigettando tutte le domande dell’attrice e condannandola alle spese di entrambi i gradi di giudizio. Secondo la Corte d’Appello, infatti, l’accorpamento delle rivendicazioni avrebbe dato luogo a una diversa invenzione e, dunque, a un brevetto oggettivamente difforme da quello azionato, imponendo la declaratoria di nullità integrale del medesimo.
La sentenza d’appello era stata vittoriosamente impugnata per cassazione dall’attrice.
La Suprema Corte aveva osservato che il testo dell’art. 76, comma 2, c.p.i. esprime un principio di conservazione della privativa brevettuale, per il quale l’invalidità parziale di un brevetto non travolge la parte rimanente che presenti i requisiti di brevettabilità, risultandone un brevetto limitato rispetto a quello originario, ma valido.
Nel caso concreto, l’effetto conservativo – secondo la Corte – era stato appunto raggiunto attraverso una nuova rivendicazione indipendente, ricomprendente alcune caratteristiche della rivendicazione principale dichiarata nulla, degradate da parte caratterizzante a parte pre-caratterizzante, cioè a «tecnica nota». Per usare le parole della Corte, «non esiste alcun ostacolo di natura giuridica che impedisca di ritenere, in termini assoluti, che una rivendicazione dipendente (quale è, nella fattispecie, la rivendicazione 14) possa mantenere la sua validità – con conseguente nullità solo parziale del brevetto – quando è nulla la rivendicazione principale».
La Suprema Corte aveva pertanto cassato con rinvio la sentenza d’appello, formulando il seguente principio di diritto:
«La nullità parziale del brevetto oggi prevista dall’art. 76, comma 2, c.p.i., che provvede all’esigenza di conservare validità alle altre concorrenti rivendicazioni che si presentino fornite dei requisiti di legge per la brevettazione, è suscettibile di essere dichiarata in presenza della nullità di rivendicazione indipendente (nella fattispecie: per carenza di altezza inventiva), laddove il brevetto consti di altra rivendicazione dipendente munita di validità, rispetto alla quale quanto oggetto della rivendicazione nulla possa rilevare come stato della tecnica».
Riassunto il processo innanzi alla Corte d’Appello, quest’ultima, vincolata dal dictum della Cassazione, ha concluso per il brevetto «valido e violato», a conferma della sentenza di primo grado.
Secondo la Corte d’Appello, la sentenza di primo grado aveva semplicemente omesso di dare formalmente atto della nullità parziale del brevetto nel dispositivo, pur riconoscendone nella motivazione tanto la sussistenza quanto il conseguente effetto limitativo: in altri termini, era già stato riconosciuto come valido l’ambito di protezione delimitato dalla rivendicazione 14 in combinazione con le caratteristiche tecniche della rivendicazione indipendente 1.
La Corte ha inoltre chiarito, in risposta a un’eccezione delle appellate, che in simili ipotesi non è necessaria per il titolare del brevetto la presentazione di un’istanza di riformulazione ai sensi dell’art. 79, comma 3, c.p.i., «atteso che tutte le valutazioni del C.T.U. sono basate esclusivamente su ciò che il brevetto azionato già conteneva nelle sue rivendicazioni e già esplicitamente prevedeva (in particolare, tramite la dipendenza della rivendicazione 14 dalla rivendicazione 1)».
La Corte ha altresì riconosciuto integrata la fattispecie della concorrenza sleale interferente, ritenendo provato in atti che il know-how necessario all’illegittima attuazione del brevetto fosse stato trasmesso alle convenute da un ex dipendente dell’attrice, successivamente divenuto loro collaboratore, in violazione del divieto per l’ex dipendente di utilizzare a vantaggio di terzi conoscenze eccedenti il proprio bagaglio professionale, e del correlato divieto per i terzi di avvalersene.
La Corte d’Appello ha quindi confermato nei confronti delle convenute i rimedi inibitori e l’ordine di ritiro dal commercio. Quanto al risarcimento del danno, ha ritenuto congruo commisurarlo all’importo degli sconti che l’attrice si era vista costretta a riconoscere alla clientela per mantenerla, a seguito delle offerte concorrenziali formulate dalle convenute. Tale importo, superiore a 500.000 euro, è stato ritenuto più rappresentativo del pregiudizio subito rispetto all’utile effettivamente conseguito dai contraffattori.