Brevetti e comunione: un rapporto complicato
Il 18 febbraio 2025 è stata pubblicata la sentenza n. 4131 pronunciata dalla Prima Sezione Civile della Corte di cassazione che è tornata a parlare di brevetto cointestato e, in particolare, dell’applicabilità alla fattispecie delle norme in tema di comunione. La decisione qui considerata ha sollevato una questione di diritto di rilevanza tale da giustificare la trattazione pubblica dell’udienza: in caso di contitolarità brevettuale lo sfruttamento del trovato può avvenire liberamente da parte di ciascun contitolare o, al contrario, è sempre richiesto il consenso dell’altro?
Per analizzare più nel dettaglio la questione è opportuno partire da due precedenti della Corte di cassazione che hanno trattato il tema del brevetto cointestato: la sentenza n. 265/1981 e la n. 5281/2000. La prima decisione attiene, in realtà, ad aspetti prevalentemente processuali. In particolare, la Corte del 1981 ha qualificato il contratto di licenza d’uso relativo ad un brevetto ottenuto da più contitolari come un contratto con una parte complessa e, in conseguenza, ha statuito la necessità di consenso unanime da tutti i contitolari per il perfezionamento dello stesso e il configurarsi, in campo processuale, di un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Ben più rilevante ai fini del presente articolo è la sentenza n. 5281/2000. In essa la Corte ha applicato il principio di diritto sancito dall’art. 1102 c.c. - il divieto per il comunista di alterare la destinazione della cosa comune o di impedire agli altri contitolari il godimento della stessa - per sancire quanto segue: “ove non sia stato a ciò autorizzato dagli altri comunisti, egli non può sfruttare unilateralmente l’invenzione e non può cedere a terzi la licenza di sfruttamento del brevetto, in quanto quest’ultima implica la facoltà tipica del titolare del brevetto di vietare ad altri l’utilizzazione della stessa idea inventiva, il che priverebbe, pertanto, i contitolari del diritto di esclusiva”. Qualora non si applicassero le disposizioni sulla comunione e conseguentemente si ammettesse che un contitolare possa sfruttare individualmente il brevetto in modo tale da comprimere o escludere il diritto di esclusiva spettante anche agli altri contitolari, il brevetto cointestato non assolverebbe alla sua specifica e primaria funzione.
Nella sentenza n. 4131/2025 la Suprema Corte ha effettuato ampi riferimenti alla precedente pronuncia n. 5281/2000, ribadendo ulteriormente la necessaria applicazione delle disposizioni in tema di comunione per salvaguardare in maniera effettiva la posizione dei singoli contitolari. La Corte è partita dall’interpretazione dell’art. 6, comma 1, c.p.i., nel quale ha rinvenuto un nucleo centrale e due corollari. In particolare, il nucleo centrale è rappresentato dalla locuzione: “se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, le facoltà relative sono regolate […] dalle disposizioni del Codice civile relative alla comunione […]”. I corollari, volti a limitare l’applicazione delle disposizioni in materia di comunione, sono stati invece individuati nelle locuzioni “in quanto compatibili” e “salvo convenzione in contrario”. Questi limiti esemplificano la consapevolezza del legislatore circa il fatto che le norme in ambito di comunione sono dettate, in linea generale, per beni materiali e, conseguentemente, tali disposizioni potranno essere oggetto di applicazione relativamente alle privative immateriali solo “in quanto compatibili”.
Nel caso concreto, la Cassazione, evidenziando l’assenza di una specifica regolamentazione negoziale, ha sancito l’applicabilità delle disposizioni sulla comunione richiamando l’art. 1102 c.c. La norma detta il c.d. statuto giuridico del godimento individuale in rapporto al godimento collettivo, autorizzando ciascun contitolare a servirsi del bene ad oggetto di comunione “purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Da ciò deriverebbe l’impossibilità per il contitolare di sfruttare individualmente il brevetto cointestato, sia mediante la concessione in licenza del trovato, sia direttamente nella propria attività di impresa, in quanto in tal modo comprometterebbe irrimediabilmente il diritto di esclusiva degli altri contitolari, come espresso chiaramente anche nella sentenza n. 5281/2000.
La sentenza di secondo grado, discostandosi dalla Cassazione del 2000, aveva ritenuto che il brevetto, essendo un bene immateriale, potesse essere sfruttato allo stesso modo ed in pari tempo da tutti coloro che ne sono titolari in maniera coerente con il dettato normativo dell’art. 1102 c.c. L’esclusiva del contitolare non sarebbe lesa dall’uso del brevetto posto in essere dall’altro contitolare quando quest’ultimo non impedisce al primo un uso analogo. Tuttavia, è con riferimento al concetto di alterazione di destinazione che la Corte di legittimità ha cassato la sentenza. La Suprema Corte, infatti, come rilevato nel principio di diritto, ha sancito che “in materia di brevetto di cui siano contitolari due o più soggetti, il rinvio contenuto nell’art. 6, comma 1, cod. propr. ind. alle norme sulla comunione dei diritti reali deve essere inteso nel senso, che in difetto di convenzione contraria, a mente dell’art. 1102, comma 1, cod. civ. è precluso al singolo comunista lo sfruttamento produttivo del trovato a cui voglia procedere uti singulus in quanto ciò, riflettendosi sulla tutela accordata con il brevetto, altera la destinazione della cosa e lede in tal modo il diritto di esclusiva dell’altro o degli altri contitolari”.
Lo sfruttamento uti singulus del brevetto, dunque, è considerato idoneo ad alterarne la destinazione in quanto deprime il valore intrinseco e “pregiudica il diritto degli altri contitolari a trarre dal brevetto i benefici che l’esclusiva loro concessa era in grado di assicurare”.