Il Consiglio di Stato su ambush marketing e libertà di espressione: il caso Zalando
Con sentenza n. 3118/2025, il Consiglio di Stato (CdS) ha confermato la legittimità del provvedimento con cui l’AGCM aveva sanzionato Zalando per una pratica di c.d. ambush marketing posta in essere in occasione di UEFA Euro 2020. Ne avevamo parlato qui in questo post.
La sanzione, pari a 100.000 euro, era stata irrogata in relazione a un’affissione pubblicitaria installata da Zalando a Roma, nelle immediate vicinanze del Football Village ufficiale dell’evento. Essa ritraeva una maglietta bianca con il logo Zalando, lo slogan “Chi sarà il vincitore?” e le 24 bandiere delle nazioni partecipanti al torneo. Secondo l’AGCM, tali elementi erano idonei a creare un collegamento indiretto con l’evento sportivo e a indurre in errore il pubblico, facendo ritenere che Zalando ne fosse sponsor ufficiale, in violazione dell’art. 10 del d.l. 16/2020.
Zalando aveva impugnato il provvedimento prima avanti al TAR Lazio e poi avanti al Consiglio di Stato sostenendo, tra l’altro, che il messaggio pubblicitario non fosse ingannevole e che sanzionarlo costituisse indebita compressione della propria libertà di espressione. Secondo Zalando, infatti, la campagna pubblicitaria era volta a sostenere le minoranze di orientamento sessuale, e prevedeva che l’immagine contestata, affissa dall’1 all’8 giugno 2021, fosse sostituita dall’8 al 15 giugno da quella che segue, con lo slogan “Chi sarà il vincitore? L’amore vince sempre”:
Il CdS, come il TAR prima di esso, ha tuttavia rigettato l’appello, confermando integralmente la decisione dell’AGCM.
Nella propria motivazione, il CdS ricorda innanzitutto che, in base alla giurisprudenza formatasi nei tribunali civili:
“- la pratica dell’”ambush marketing” consiste nell’associazione di un marchio o di un prodotto ad un evento di grande risonanza mediatica, effettuata senza l’autorizzazione dell’organizzatore dell’evento;
- la pratica dell’ambush marketing è considerata ingannevole, poiché induce in errore il consumatore medio sull’esistenza di rapporti di sponsorizzazione ovvero di affiliazione o comunque di collegamenti con i titolari di diritti di proprietà intellettuale invece, insussistenti e costituisce un’ipotesi particolare di concorrenza sleale contraria alla correttezza professionale che può trovare tutela nell’alveo generale dell’art. 2598, comma 3, c.c.;
- con la figura dell’ambush marketing il concorrente sleale associa abusivamente l’immagine ed il marchio di un’impresa ad un evento di particolare risonanza mediatica senza essere legato da rapporti di sponsorizzazione, licenza o simili con l’organizzazione della manifestazione; in tal guisa lo stesso si avvantaggia dell’evento senza sopportarne i costi, con conseguente indebito agganciamento all’evento ed interferenza negativa con i rapporti contrattuali tra organizzatori e soggetti autorizzati;
- si tratta di illecito plurioffensivo, ove i soggetti danneggiati sono l’organizzatore dell’evento, il licenziatario (o sponsor) ufficiale ed infine il pubblico”.
Fatte tali premesse, il CdS mostra di concordare con Zalando nell’affermare che può sussistere un “ambush marketing lecito”, laddove l’agganciamento con l’evento non è idoneo a indurre il pubblico in errore circa l’identità degli sponsor ufficiali. Nel caso di specie, tuttavia, il CdS conferma la sussistenza di tale ingannevolezza: la combinazione degli elementi – posizione del cartellone vicino al Football Village, slogan impiegato, maglietta calcistica, bandiere delle nazioni partecipanti all’evento – costituiva un “framing” comunicativo capace di indurre l’avventore medio a ritenere, erroneamente, che Zalando fosse sponsor ufficiale di UEFA Euro 2020.
In tale contesto, rileva il CdS, appariva corretta anche la decisione dell’AGCM di non valutare la rilevanza della seconda immagine pubblicitaria, che Zalando intendeva affiggere dall’8 al 15 giugno: da un lato, si trattava, appunto, di evenienza futura e incerta; dall’altro, “le persone che avrebbero visto il secondo cartello non sarebbero state necessariamente le stesse che avevano visto il primo così da ricostruire l’interezza del messaggio pubblicitario, sicché la condotta successiva non avrebbe potuto avere valore scriminante l’illecito”.
Quanto alla presunta compressione della libertà di espressione, il CdS evidenzia che l’intervento dell’AGCM non aveva censurato il contenuto della campagna in quanto tale, ma solo le modalità con cui essa era stata realizzata, ovvero in modo da indurre in errore il pubblico circa l’esistenza di rapporti di sponsorizzazione: “Nessun problema (nemmeno quello della limitazione della libertà di espressione) si sarebbe posto se lo stesso identico messaggio fosse stato pubblicato in altro luogo e non avesse ingenerato un collegamento con “Europa2020”.
Infine, il CdS ritiene infondato il motivo di appello con cui Zalando sosteneva che la sanzione comminata sarebbe stata eccessiva perché non avrebbe tenuto conto dell’assoluta novità della fattispecie, introdotta dalla legge n. 16/2020. Infatti, rileva il CdS, tale sanzione corrispondeva già al minimo edittale e l’AGCM si era correttamente attenuta ai parametri di legge, incluso anche il fatto che si trattasse della prima applicazione della normativa violata.