La sorgente della discordia: chi è il vero proprietario del software?
In materia di software, e più in generale di opere dell’ingegno, è diffusa tra i non-specialisti la convinzione che il titolare originario dell’opera sia l’individuo, o l’azienda, responsabile della sua creazione. In realtà, non sempre è così. In molti casi, creatore e titolare dei diritti patrimoniali sono soggetti diversi sin dall’inizio.
Proprio di questo tema si è occupato di recente il Tribunale delle Imprese di Brescia (ord. del 14 aprile 2025), chiamato a dirimere una controversia tra due aziende ex partner che si affermavano entrambe proprietarie di alcuni software, sviluppati dall’una per gestire l’elettronica di macchine industriali prodotte dall’altra.
Quando, dopo alcuni anni, la partnership era terminata, la seconda azienda, che disponeva solo degli applicativi dei software, aveva chiesto alla prima di consegnare i codici sorgente; ma questa si era rifiutata. La prima azienda si è quindi rivolta al Tribunale delle Imprese di Brescia con la richiesta di provvedimenti urgenti.
All’udienza, l’azienda resistente ha sostenuto di essere proprietaria dei software oggetto di contesa in quanto loro sviluppatrice, mentre la ricorrente avrebbe goduto negli anni di semplice licenza d’uso sugli applicativi. A riprova della tesi, ha prodotto delle fatture emesse nei confronti della ricorrente, contenenti espressi riferimenti al software, il cui importo sarebbe stato incompatibile con la cessione dei diritti patrimoniali sui programmi.
Il Tribunale di Brescia ha, tuttavia, riconosciuto le ragioni della ricorrente, escludendo che fosse necessaria una cessione perché questa potesse vantare la titolarità del software.
Il Giudice ha preliminarmente ricordato:
che il diritto d’autore comprende sia il codice-sorgente che il codice-oggetto;
che, secondo la giurisprudenza, nel caso di software commissionato a società o libero professionista, “fermo il diritto di colui che materialmente ha creato il software ad essere riconosciuto quale autore morale, l’opera commissionata è oggetto di acquisto a titolo originario in capo al committente, il quale diviene proprietario in via esclusiva del diritto di sfruttamento economico patrimoniale del codice sorgente e del codice oggetto, salvo diverso accordo tra le parti”.
Si tratta di tesi giurisprudenziale tratta per analogia dalla norma che, nei rapporti di lavoro subordinato, attribuisce al datore di lavoro i diritti patrimoniali d’autore sul software creato dal dipendente “nell'esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dal datore di lavoro” (art. 12 bis l.d.a.).
Nel caso al suo esame, dalla documentazione agli atti risultava che la resistente nel corso degli anni avesse svolto diverse attività relative a macchine industriali della ricorrente in qualità di appaltatrice di questa. Sebbene nei singoli contratti di appalto non comparissero riferimenti espressi allo “sviluppo di software”, le parti avevano sottoscritto accordi-quadro che esplicitamente attribuivano alla committente la proprietà dei software sviluppati e, più in generale, la titolarità di diritti di proprietà intellettuale su tutto quanto generato in esecuzione delle commesse.
Il Giudice ne ha tratto la conclusione che l’attività di realizzazione di software, funzionali alla gestione dell’elettronica delle varie macchine, ricadesse nell’ambito dei rapporti d’appalto tra le due società e che pertanto il diritto d’autore sui software per il funzionamento delle macchine spettasse alla ricorrente in via esclusiva.
Le fatture prodotte dalla resistente, in questo quadro, secondo il Giudice non potevano integrare prova di accordo in senso contrario, non solo perché non contenevano riferimenti a licenze d’uso, ma soprattutto perché “l’acquisto del software (sia codice sorgente che codice oggetto) da parte del committente è a titolo originario, e non derivativo, e prescinde dal pagamento del corrispettivo dovuto per la realizzazione dell’opera commissionata”; l’entità del corrispettivo era dunque irrilevante.
Il Tribunale ha dunque concesso il sequestro del software (da eseguirsi mediante rimozione di ogni copia del codice sorgente dai sistemi informatici della resistente, trasferimento su supporto e suo affidamento in custodia a esperto nominato dal Giudice) e l’inibitoria dal suo uso, assistita da un penale di € 5000 per ogni violazione dell’ordine.
Per inciso, il procedimento qui commentato aveva anche ad oggetto la tutela del know-how, nella forma di cartigli tecnici della ricorrente detenuti dalla resistente. Anche rispetto a questi, il Giudice ha concesso sequestro e inibitoria, riconoscendone la natura di segreti commerciali sulla base del possesso dei tre requisiti di cui all’art. 98 c.p.i. (segretezza, valore economico e misure di protezione), e sottolineando in particolare, rispetto al terzo requisito, la presenza di appositi accordi di riservatezza. Di segreti commerciali, e dell’importanza di circondarli preventivamente di misure di protezione, avevamo parlato ad esempio qui e qui.
In definitiva, le aziende sviluppatrici di software dovrebbero tener presente che:
il software creato a prescindere da una commessa è, in principio, di titolarità dell’azienda sviluppatrice (che potrà utilizzarlo in proprio, concederlo in licenza o cederne i diritti);
il software creato su commissione è, in principio, di titolarità del committente, salvo accordo contrario;
se la sviluppatrice intende conservare i diritti sul software creato su committenza – e se, naturalmente, ha il potere negoziale di farlo – deve curare di inserire apposite clausole negli accordi di sviluppo.