Louboutin non autorizzate vendute da terzi su Amazon: la CGUE sulla responsabilità della piattaforma

La Corte di Giustizia Europea, con pronuncia del 22 dicembre 2022 nei casi riuniti C- 148/21 e C-184/21, ha chiarito se e a che condizioni può sussistere una responsabilità, in capo al gestore di una piattaforma di vendita online, per la violazione di marchio perpetrata da terzi venditori all’interno della piattaforma. Il provvedimento è stato emesso a seguito di due domande pregiudiziali, presentate dai Tribunali di Lussemburgo e di Bruxelles, sull’interpretazione dell’art. 9(2)(a) del Regolamento Europeo n. 2017/1001.

Le parti protagoniste della controversia erano, da una parte, lo stilista Christian Louboutin, il cui prodotto di maggior successo sono le note scarpe a tacco alto con suola rossa, e dall’altra Amazon, colosso delle vendite online attraverso la cui piattaforma vengono offerti sul mercato prodotti sia propri che di terzi. Louboutin lamentava che su tale piattaforma fossero regolarmente vendute da terzi, senza il proprio consenso, delle scarpe in violazione dei propri marchi sulla suola rossa e, per tale ragione, chiedeva che Amazon fosse ritenuta responsabile della violazione e fosse condannata al risarcimento del danno. Nello specifico, Laboutin azionava l’art. 9(2)(a) del Regolamento summenzionato, in base al quale il titolare del marchio registrato ha il diritto di opporsi all’uso nel commercio, da parte di terzi non autorizzati, di segni identici per prodotti identici. La pronuncia CGUE in commento verte proprio su cosa configuri un simile “uso” commerciale.

Secondo Laboutin, Amazon era direttamente responsabile della violazione del marchio in quanto, pur non vendendo le scarpe in questione, rivestiva un ruolo attivo nell’uso commerciale del segno contraffatto, posto che: a) all’interno della propria piattaforma, Amazon pubblica annunci di vendita per prodotti non solo di terzi ma anche propri, applicando sempre il proprio logo, per cui è difficile percepire quando un prodotto sia venduto da Amazon e quando sia venduto da terzi; b) Amazon offre ai terzi venditori servizi aggiuntivi, occupandosi ad esempio direttamente della spedizione del loro prodotto agli acquirenti, svolgendo così un ruolo attivo nella fase di vendita.

Amazon si era difesa negando la possibilità che le venisse attribuita una responsabilità per la violazione di un marchio realizzata da terzi venditori: secondo la difesa di Amazon, infatti, il fatto che un prestatore di servizi crei le condizioni tecniche necessarie per l’utilizzo di un segno in contraffazione di un marchio registrato e riceva una remunerazione per la suddetta attività non implica un utilizzo ai sensi dell’art. 9 del Reg. 2017/1001. A sostegno di tale tesi aveva allegato diversi precedenti giurisprudenziali, tra cui le Sentenze della medesima CGUE nei casi Coty Germany (C-567/18), in cui era stato negato che il servizio di stoccaggio reso da Amazon integrasse un uso del marchio ai sensi della normativa Europea, e L’Oréal and Others (C-324/09), in cui era stata negata la responsabilità del gestore della piattaforma eBay per annunci pubblicati da parte dei terzi venditori ed era stato chiarito come la presenza del logo di eBay negli annunci non implicasse una responsabilità per il contenuto degli stessi.

A seguito dell’instaurazione dei due differenti procedimenti, i due Tribunali di merito interessati avevano quindi sospeso gli stessi e rimesso la questione alla CGUE.

Questa, nella propria decisione qui commentata, ha chiarito che si ha “uso nel commercio” di un marchio altrui in presenza di un comportamento attivo e di un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’utilizzo, tale da permettere al soggetto in questione di porre fine alla condotta lesiva. Vero che, come indicato nella sentenza L’Oréal and Others (C-324/09), il mero creare le condizioni tecniche necessarie all’utilizzo di un segno e ricevere in cambio un corrispettivo economico non integra utilizzo del segno ex art. 9 Reg. 2017/1001; tuttavia, i casi divergano in quanto Amazon, a differenza di eBay, nella propria piattaforma offre non solo prodotti riferibili a terzi ma anche prodotti propri, facendo rientrare tutti gli annunci all’interno della propria comunicazione commerciale e offrendo altresì servizi complementari utili alla commercializzazione dei prodotti. Rispetto alla pronuncia resa nel caso Coty Germany, invece, la CGUE ha sottolineato come, in quella fattispecie, Amazon non fosse a conoscenza del fatto che i prodotti violassero altrui diritti di marchio e non avesse effettuato la consegna dei beni, gestita da terzi fornitori di servizi esterni.

La CGUE ha quindi indicato i principi da seguire ai due Tribunali del rinvio: per determinare la responsabilità del gestore della piattaforma è necessario verificare se l’annuncio pubblicato possa indurre il consumatore informato e ragionevolmente attento a credere che sussista un legame tra i servizi offerti dal gestore e il segno in questione. In altre parole, il gestore sarà responsabile ogni qualvolta il consumatore potrà essere indotto a credere che sia il gestore stesso a commercializzare in proprio nome e per proprio conto i prodotti in cui è presente il segno che viola i diritti di marchio di terzi. La circostanza che il gestore della piattaforma venda, all’interno di questa, prodotti sia propri che di terzi presentando gli annunci in modo uniforme, mostrando al medesimo tempo tutti gli annunci con all’interno il proprio logo e offrendo altresì servizi aggiuntivi, come ad esempio il servizio di spedizione dei prodotti per conto dei venditori, può chiaramente rendere difficile la distinzione sulla provenienza dei prodotti e indurre in errore il consumatore.

A seguito di tale interessante pronuncia ad opera della Corte di Giustizia Europea non ci resta che attendere cosa decideranno i due Tribunali nazionali in merito alla responsabilità di Amazon per le condotte attuate nel proprio sito in violazione del marchio registrato da Christian Louboutin.

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