La CGUE sulla registrazione in malafede del marchio

Con sentenza dello scorso 27 giugno nella causa C-320/12, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) si è espressa in tema di malafede del richiedente la registrazione di un marchio in uno Stato Membro, nel caso in cui conosca o possa conoscere dell’esistenza di un marchio straniero anteriore confondibile.

La vicenda vedeva contrapposte la Malaysia Dairy Industries Pte. Ltd (“Malaysia Dairy”) e l’Ankenævnet for Patenter og Varemærker (la commissione di ricorso dell’ufficio brevetti e marchi danese, la “Commissione di Ricorso”) in ordine ai seguenti fatti. Malaysia Dairy – azienda che produce e vende una bevanda a base di latte in una bottiglia in plastica –  aveva ottenuto la registrazione come marchio tridimensionale in Danimarca di tale contenitore (il “Marchio Malaysia Dairy”), già precedentemente da essa registrato in Malesia. A tale registrazione si era opposta la giapponese Yakult che per prima aveva registrato come marchio di forma in Giappone e in alcuni Stati Membri UE la bottiglia in plastica del suo noto yogurt da bere (il “Marchio Yakult”). In particolare, Yakult sosteneva che, secondo quanto stabilito dall’art. 15(3)(3) della legge marchi danese, Malaysia Dairy avesse agito in malafede al momento del deposito della sua domanda di registrazione, in quanto conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’esistenza all’estero del Marchio Yakult.

Dopo un primo rigetto da parte dell’ufficio marchi e brevetti danese, la domanda di Yakult fu accolta dalla Commissione di Ricorso che annullò la registrazione del Marchio Malaysia Dairy in quanto “la conoscenza effettiva o presunta di un marchio usato all’estero ai sensi del’art. 15 (3)(3) è sufficiente per concludere per la malafede del richiedente, anche se si può supporre che questi aveva ottenuto precedentemente una registrazione del marchio richiesto in un altro paese”. Avverso tale decisione Malaysia Dairy presentò ricorso dinanzi al Tribunale Marittimo e di Commercio (Sø- og Handelsretten) che confermò la posizione della Commissione di Ricorso. Successivamente, la Corte Suprema danese (Højesteret), investita della causa su appello di Malaysia Dairy, sospese il procedimento e sottopose alla CGUE tre questioni pregiudiziali relative all’interpretazione dell’art. 4(4)(g) della Direttiva 2008/95CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (la “Direttiva”), che attribuisce agli Stati Membri la facoltà di prevedere che un marchio non possa essere registrato (o, se registrato, sia dichiarato nullo) se “si presti a essere confuso” con altro “usato in altri Stati al momento della presentazione della domanda e che continua a esservi usato, qualora il richiedente abbia domandato in mala fede la registrazione (…)”.

Il giudice del rinvio chiedeva, innanzitutto, se la nozione di “malafede” potesse essere precisata in base al diritto interno degli Stati Membri oppure dovesse interpretarsi in modo uniforme a livello comunitario. La CGUE propende per questa seconda lettura, affermando che tale concetto “costituisce una nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata uniformemente nell’Unione”.

Alla luce della risposta al primo quesito, la Suprema Corte danese chiedeva allora se la conoscenza o la presupposizione di conoscenza da parte del richiedente di un marchio utilizzato all’estero al momento del deposito della sua domanda, confondibile con il marchio richiesto, fosse sufficiente per concludere per la “malafede” o se si dovesse tener conto di altri elementi soggettivi concernenti il richiedente. Secondo la CGUE, “il fatto che il richiedente sappia o debba sapere che un terzo utilizza siffatto segno non è sufficiente, di per sé, a provare la malafede di detto richiedente”. Occorrerà infatti procedere a una valutazione caso per caso e prendere in considerazione “tutti i fattori pertinenti propri del caso di specie ed esistenti al momento del deposito della domanda di registrazione”.

Infine, il giudice del rinvio chiedeva se l’art. 4(4)(g) della Direttiva lasciasse liberi gli Stati Membri di istituire particolari forme di tutela dei marchi stranieri basate sul fatto che il richiedente conosca o debba conoscere un marchio straniero. I giudici rispondono negativamente, rilevando che la direttiva 2008/95 vieta agli Stati membri di introdurre motivi di impedimento o di nullità dei marchi diversi da quelli figuranti nella direttiva medesima.

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