La CGUE sull’uso del marchio altrui come domain name e meta-tag

Pubblicato anche sul portale Diritto24 del Sole24Ore

Con sentenza dello scorso 11 luglio in C-657/11, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la “CGUE”) ha affermato che l’utilizzo di un domain name e di meta-tags corrispondenti al nome commerciale e marchio di un concorrente possono costituire pubblicità ai sensi dell’art. 2(a) della direttiva 2006/11/CE sulla pubblicità ingannevole e comparativa, secondo il quale costituisce pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi” (la “Nozione di Pubblicità”). Tale conclusione della Corte permette quindi di chiedere tutela, nei confronti di tali forme di utilizzo dei propri segni distintivi, non solo sulla base della normativa che regola le violazioni dei segni distintivi in sé, ma anche sulla base della normativa contro la pubblicità ingannevole e comparativa illecita.

La decisione è stata resa nell’ambito di una controversia insorta tra due aziende belghe concorrenti, la Belgian Electronic Sorting Technology NV o BEST NV (la “BEST”), e la Visys NV (la “Visys”), che producono e commercializzano macchine di cernita a tecnologia laser (in inglese, “laser sorter”). Nel 2007 la Visys registrò il nome a dominio “www.bestlasersorter.com” (il “Nome a Dominio”) per il proprio website già presente agli indirizzi “www.visys.be” e “www.visysglobal.be”. Il Nome a Dominio conteneva quindi il segno “best”, corrispondente all’acronimo della concorrente (per il quale quest’ultima depositò peraltro domanda di marchio figurativo “Benelux BEST” nel 2008 – il “Marchio BEST”); inoltre, digitando i termini “Best Laser Sorter” in “google.be”, il website della Visys appariva come secondo risultato subito dopo il sito della BEST; infine, Visys utilizzava come meta-tags termini corrispondenti alle denominazioni di alcuni prodotti della BEST e al nome commerciale e Marchio BEST (le “Meta-tags”). Best citò quindi in giudizio la Visys ritenendo che la registrazione e l’utilizzo del Nome a Dominio e l’utilizzo delle Meta-tags ledessero il proprio nome commerciale e Marchio BEST, oltre a violare la normativa sulla pubblicità ingannevole e comparativa e quella relativa sulla registrazione abusiva dei nomi a dominio. La Corte di  Cassazione belga, investita della questione, al fine di emanare la propria decisione sospese il procedimento per chiedere in via pregiudiziale alla CGUE “se la [Nozione di Pubblicità summenzionata] debba essere interpretata nel senso che essa comprende, da un lato, la registrazione e l’uso di un nome a dominio e, dall’altro lato, l’uso di metatags nei metadati di un sito Internet”.

Nella sentenza in esame la CGUE nega innanzitutto che la mera registrazione del Nome a Dominio rientri nella Nozione di Pubblicità, trattandosi di un “atto meramente formale” che non comporta necessariamente la creazione di un sito web e quindi di per sé “non implica necessariamente la possibilità di una presa di coscienza del nome a dominio da parte dei potenziali consumatori” e “non è idoneo ad influenzare le scelte di questi ultimi”.

Diverso il discorso per l’utilizzo del Nome a Dominio, che viene invece ricondotto dalla Corte alla Nozione di Pubblicità sulla base dell’assunto che esso “ha chiaramente lo scopo di promuovere la fornitura dei prodotti o dei servizi del titolare del nome di dominio”; peraltro, precisa la Corte, “non è soltanto per mezzo di un sito Internet ospitato sotto il nome di dominio che il titolare di tale nome intende promuovere i propri prodotti o servizi, ma anche attraverso l’utilizzo di un nome di dominio scelto con cura, destinato a spingere il più gran numero possibile di utenti di Internet a visitare tale sito e a interessarsi alle sue offerte”. Inoltre, “un siffatto utilizzo del nome a dominio, il quale fa riferimento ad alcuni prodotti o ad alcuni servizi o anche al nome commerciale di una società, costituisce una forma di messaggio che si rivolge ai potenziali consumatori e suggerisce loro che troveranno, sotto questo nome a dominio, un sito internet in rapporto con detti prodotti o servizi o anche con detta società”.

Venendo infine all’utilizzo delle Meta-tags, la CGUE afferma innanzitutto che “simili metatags costituiti da parole chiave («keyword metatags»), che vengono letti dai motori di ricerca quando questi scandagliano Internet per effettuare l’indicizzazione dei numerosi siti ivi presenti, costituiscono uno dei fattori che permettono ai suddetti motori di ricerca di classificare i siti in base alla loro pertinenza rispetto alla parola di ricerca inserita dall’utente di Internet”; pertanto, secondo la Corte, “l’utilizzo di tali metatags corrispondenti alle denominazioni dei prodotti di un concorrente e al nome commerciale del medesimo avrà come effetto, per regola generale, che, quando un utente di Internet alla ricerca dei prodotti di tale concorrente inserisce una delle denominazioni o il nome di cui sopra in un motore di ricerca, il risultato naturale mostrato da tale motore risulterà modificato a vantaggio dell’utilizzatore di detti metatags e il link verso il sito Internet di quest’ultimo verrà incluso nell’elenco dei risultati, eventualmente in diretta prossimità del link che rinvia al sito Internet del citato concorrente. (…) Orbene, nella maggior parte dei casi, inserendo la denominazione del prodotto di una società o il nome di quest’ultima quale parola di ricerca, l’utente di Internet si prefigge di trovare informazioni od offerte su questo specifico prodotto o su questa società e la sua gamma di prodotti. Pertanto, quando nell’elenco dei risultati naturali vengono visualizzati dei link verso siti che propongono prodotti di un concorrente di detta società, l’utente di Internet può percepire tali link come offerta di un’alternativa rispetto ai prodotti della società predetta, o pensare che essi rinviino a dei siti che offrono i prodotti di quest’ultima (…). Ciò vale a maggior ragione nel caso in cui i link verso il sito Internet del concorrente di tale società si trovino fra i primi risultati della ricerca, in prossimità di quelli di questa stessa società, oppure nel caso in cui il concorrente utilizzi un nome di dominio che fa riferimento al nome commerciale della società suddetta o alla denominazione di uno dei suoi prodotti.”

Sulla base di tali affermazioni (per la verità tecnicamente un po’ datate, posto che oggi il ruolo delle meta-tags nell’indicizzazione non è più così determinante come un tempo), la Corte conclude quindi che l’utilizzo di meta-tags corrispondenti alle denominazioni dei prodotti di un concorrente e al nome commerciale di quest’ultimo rientra nella Nozione di Pubblicità “nella misura in cui … ha come conseguenza di suggerire all’utente di internet, il quale abbia introdotto una delle denominazioni o il nome di cui sopra come parola di ricerca, che il sito suddetto ha un rapporto con la sua ricerca”. Secondo i Giudici, peraltro, un simile uso integrerebbe una vera e propria “strategia promozionale (…) volta ad incitare l’utente di internet a visitare il sito dell’utilizzatore stesso e ad interessarsi ai prodotti e ai servizi di quest’ultimo”.

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Il Tribunale di Milano sulla contraffazione di marchio complesso

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La CGUE nel caso Specsavers: uso del marchio in forma diversa da quella in cui è stato registrato e rilevanza del colore