L’AGCM avvia istruttorie su Google, Apple e Dropbox per i servizi cloud

Con un comunicato stampa del 7 settembre 2020 l’AGCM rende noto di aver avviato sei procedimenti istruttori nei confronti di tre dei principali prestatori di servizi di cloud computing a livello globale.

I soggetti coinvolti sono Google (per il servizio Google Drive), Apple (per il servizio iCloud) e Dropbox e i relativi procedimenti hanno ad oggetto, da un lato, presunte pratiche commerciali scorrette e, dall’altro lato, la presunta inclusione di clausole vessatorie all’interno delle condizioni contrattuali.

In particolare, in relazione alle istruttorie per pratiche commerciali scorrette (procedimenti PS11147-PS11149-PS11150), l’AGCM sta valutando nei confronti dei tre prestatori di servizi la mancata o inadeguata indicazione, in sede di presentazione del servizio di cloud computing, dell’attività di raccolta e utilizzo a fini commerciali dei dati dell’utente. Ciò comporterebbe un indebito condizionamento dell’utente-consumatore, che non sarebbe posto in condizione di esprimere il consenso al trattamento per fini commerciali dei propri dati personali.

Con specifico riferimento al servizio cloud di Dropbox, l’Autorità contesta inoltre l’omissione di informazioni chiare, precise ed immediatamente accessibili riguardanti le condizioni, i termini e le procedure per esercitare i diritti di recesso e di ripensamento. A ciò si aggiunge la mancata informazione del consumatore in ordine alla possibilità di accedere ai meccanismi di risoluzione stragiudiziale delle controversie che coinvolgono il professionista e il consumatore.

Infine, con i procedimenti CV194-CV195-CV196 l’Autorità sta valutando la vessatorietà di alcune clausole previste nei contratti con l’utenza. Si tratta, in particolare, delle clausole che prevedono: l’ampia facoltà per l’operatore di sospendere o interrompere il servizio cloud, l’esonero dalla responsabilità anche nel caso di perdita di documenti conservati nello spazio cloud dell’utente, la facoltà per il professionista di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali e la prevalenza della versione in inglese del testo contrattuale rispetto a quella in italiano.

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