La Corte di Giustizia in materia di link ad opere protette e violazione di diritti d’autore

Con sentenza dello scorso 8 settembre (nella causa C-160/15), la Corte di giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) si è espressa su un rinvio pregiudiziale della Corte Suprema olandese, con cui questa chiedeva, in sostanza, se e in quali casi l’inserimento all’interno di un sito web di un link ad opere protette, rese disponibili su altri siti in assenza di autorizzazione del titolare del diritto d’autore, costituisca violazione del diritto di “comunicazione al pubblico” spettante in via esclusiva al titolare dei diritti d’autore ai sensi dell’art. 3(1) della Direttiva 2001/29/CE. Dell’interpretazione di tale norma si è peraltro già parlato qui, sebbene con riferimento a profili diversi.

La disputa che ha dato origine alla sentenza in questione aveva visto coinvolte, dal lato attivo, Playboy Enterprises International Inc., società titolare dell’omonima celebre rivista, Sanoma Media Netherlands BV, editrice di quest’ultima e una nota presentatrice olandese. Alcuni siti avevano pubblicato senza autorizzazione fotografie (inedite) della presentatrice, i diritti d’autore sulle quali erano di titolarità dell’editrice Sanoma; un sito olandese di attualità, di proprietà di GS Media BV, aveva successivamente ospitato link a quei siti, che Sanoma aveva chiesto di rimuovere. Rimaste infruttuose le richieste di rimozione spontanea, l’editrice aveva agito contro GS Media per violazione di diritti d’autore innanzi al Tribunale di Amsterdam.

Il ricorso era stato accolto in primo grado, ma la corte d’appello aveva parzialmente riformato la decisione motivando che GS Media non avesse violato alcun diritto d’autore sulle foto, sebbene ponendo comunque in essere condotte illecite. Entrambe le parti avevano fatto ricorso alla Suprema Corte olandese, Sanoma, in particolare, osservando (tra l’altro) che l’inserimento dei link da parte di GS Media costituisse comunicazione al pubblico ai sensi della Direttiva 2001/29/CE e citando a contrario, a sostegno di tale tesi, una precedente sentenza della CGUE (caso C-466/12), che sostanzialmente esclude in via generale che una tale condotta sia qualificabile come comunicazione al pubblico nel caso in cui le opere siano on-line con l’autorizzazione del titolare dei relativi diritti. La Suprema Corte ha ritenuto, per decidere sulla questione ad essa sottoposta, di dover chiedere alla CGUE una nuova pronuncia sull’interpretazione dell’art. 3 della Direttiva 2001/29/CE.

I Giudici europei hanno anzitutto evidenziato che, al fine di valutare la sussistenza di un atto di “comunicazione al pubblico” secondo la normativa comunitaria, rilevano, oltre ai due elementi costitutivi dell’atto di comunicazione di un’opera e della presenza di un pubblico cui questa sia rivolta, altri criteri tra loro interdipendenti quali: a) l’intenzionalità dell’atto di  comunicazione; b) il fatto che il pubblico sia formato da un numero piuttosto considerevole di destinatari e che sia nuovo rispetto a quello cui era rivolta l’originaria comunicazione dell’opera autorizzata dall’autore; e c) il carattere lucrativo della comunicazione.

La Corte ha poi ricordato che – come stabilito dalla sentenza citata da Sanoma – l’inserimento di link ad opere protette divulgate su altri siti con l’autorizzazione del titolare dei diritti d’autore non costituisce comunicazione al pubblico ai sensi della Direttiva 2001/29/CE, poiché le opere cui i link rinviano sarebbero comunque accessibili agli utenti di Internet – medium di comunicazione comune sia alla pubblicazione originaria che all’inserimento dei link – per quanto da altri siti. Ciò vale tranne nel caso in cui l’inserimento di detti link permetta ad un pubblico “nuovo” (ossia, destinatari che l’autorizzazione del titolare alla loro originaria pubblicazione non contemplava) di raggiungere le opere pubblicate su altri siti: in tale circostanza, infatti, l’inserimento dei link costituirebbe un’autonoma comunicazione al pubblico, a dispetto del comune canale comunicativo impiegato.

Il principio appena ricordato – hanno precisato i Giudici – non trova invece applicazione nel caso in cui i link rinviino ad opere protette accessibili su altro sito senza autorizzazione del titolare dei diritti. Tuttavia, nemmeno tale fattispecie può essere qualificata in via automatica come comunicazione al pubblico, dato che una simile interpretazione avrebbe conseguenze fortemente restrittive per la libertà d’espressione e d’informazione degli utenti; ciò senza considerare l’oggettiva difficoltà, per i privati che inseriscono link ad altri siti, di verificare che i contenuti su questi ospitati, da un lato, siano o non opere protette, dall’altro, nel caso siano protette, siano state pubblicate con l’autorizzazione dei rispettivi titolari.

Secondo la Corte, si deve dunque distinguere tra due situazioni: ossia, quella in cui i link siano stati inseriti da privati ovvero da utenti che agiscono a scopo di lucro. Nel primo caso, sarà ravvisabile comunicazione al pubblico solo: a) quando chi ha inserito il link sia a conoscenza – o sia tenuto ad esserlo – della mancata autorizzazione dei titolari dei diritti alla pubblicazione online delle opere cui i link rinviano (ad esempio, perché avvertito dagli stessi titolari) ovvero b) quando tali link “consenta(no) agli utilizzatori del sito Internet nel quale essi si trova(no) di eludere misure restrittive adottate dal sito contenente l’opera protetta per limitar(ne) l’accesso del pubblico ai soli abbonati”. Nel secondo, invece, posto che il fine di lucro impone a chi inserisce detti link di verificare che le opere cui essi rinviano non siano state pubblicate online illegittimamente, tale inserimento si qualifica di regola come comunicazione al pubblico, dovendo presumersi che i link siano stati pubblicati “con piena cognizione del fatto che l’opera (cui rinviano) è protetta e che il titolare del diritto d’autore potrebbe non aver(ne) autorizzato la pubblicazione su Internet”; salva la possibilità di superare la presunzione con prova contraria.

In applicazione di questi principi la Corte ha, infine, stabilito che nella fattispecie ad essa sottoposta fosse ravvisabile una comunicazione al pubblico: a suo avviso è, infatti, pacifico che GS Media abbia agito a scopo di lucro, che Sanoma non abbia autorizzato la pubblicazione su Internet delle foto in questione e che GS Media ne fosse perfettamente consapevole, date le diffide inviatele da Sanoma.

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