Il Tribunale di Roma si pronuncia sul diritto connesso del costitutore di una banca dati

(Articolo pubblicato su Diritto 24 de Il Sole 24 Ore)

Con ordinanza confermata in sede di reclamo (ordinanze del 19.9 e 24.12.2013, entrambe inedite), la Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma ha concesso a una società specializzata nella pubblicità legale di vendite giudiziarie un provvedimento inibitorio nei confronti di una concorrente fondato sull’art. 102-bis della L. 633/41 (legge in materia di diritto d’autore, l. aut. nel seguito), che protegge gli investimenti del costitutore di una banca di dati anche quando quest’ultima non ha carattere creativo, riconoscendogli un diritto c.d. “connesso” o sui generis.

La ricorrente aveva agito in via d’urgenza esponendo di essere specializzata nella pubblicazione in una banca dati on line, su incarico di diversi tribunali, di atti relativi a vendite giudiziarie, e lamentando di aver scoperto che la società rivale estraeva documenti da questa banca dati e li ripubblicava a fini commerciali in un proprio, diverso data base. La tesi della ricorrente era che l’estrazione e il reimpiego non autorizzati di questi documenti costituisse violazione del proprio diritto sui generis sulla banca dati e forma di concorrenza sleale. In particolare, la ricorrente aveva sottolineato come l’acquisizione, digitalizzazione, lavorazione e verifica dei documenti ad essa affidati, oltre che la loro organizzazione in banca di dati, presupponessero investimenti umani, tecnici e finanziari, che la concorrente, limitandosi opportunisticamente a estrarre e ripubblicare documenti già lavorati a costo zero, non doveva sopportare.

Il Tribunale di Roma aveva ritenuto verosimilmente accertato il diritto connesso e la sua violazione, così come la concorrenza parassitaria, da parte della società resistente, e aveva inibito in via d’urgenza quest’ultima dall’estrazione e riutilizzo del contenuto della banca dati, fissando una penale per la trasgressione dell’inibitoria e condannandola altresì al pagamento delle spese del giudizio.

La società inibita ha reclamato il provvedimento sostenendo di svolgere attività non in concorrenza con quella della ricorrente e contestando in radice la sussistenza stessa del diritto sui generis, essendo i documenti riutilizzati atti relativi a giudizi civili, e in ogni caso, la rilevanza, sotto il profilo quantitativo, della propria condotta. Ha inoltre contestato che sussistesse l’urgenza richiesta dalla legge per la concessione del provvedimento, allegando di svolgere l’attività contestata da diversi anni.

Il collegio del reclamo ha tuttavia confermato il giudizio di sussistenza del diritto connesso in capo alla società reclamata, rilevando che la titolarità dei singoli documenti è diversa dalla titolarità della banca dati, e riconoscendo gli investimenti sostenuti per la costruzione di quest’ultima. Ha poi ritenuto del tutto verosimile la ripresa da parte della società reclamante di una parte sostanziale della banca dati della reclamata, sulla base del metodo di verifica a campione scelto dal consulente di parte di questa, e ha sottolineato come la condotta della prima avrebbe in ogni caso – anche se in ipotesi limitata a una parte non sostanziale della banca dati, come la reclamante sosteneva – costituito violazione del diritto sui generis, in base al comma 9 dell’art.102 bis l.aut. (per il quale anche l’estrazione di parte non sostanziale di una banca dati è vietata, se sistematica e pregiudizievole per il titolare).

Riguardo al periculum, il Collegio ha ritenuto che in materia di diritto d’autore non rilevi il momento del presunto inizio dell’attività illecita, giacché la tutela cautelare sarebbe modellata su uno schema per cui assume rilievo assorbente l’esigenza di reprimere l’illecito, prevenendo anche il mero perpetuarsi di una condotta già in atto da tempo.

Su queste basi, il Collegio ha confermato l’inibitoria già concessa in primo grado e condannato la reclamante alla rifusione delle spese del giudizio di reclamo.

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