Il Tribunale di Milano tutela i disegni (non registrati) di tessuti

Lo scorso 17 febbraio, il Tribunale di Milano – Sezione Specializzata in Materia di Impresa “A” (Giudice Dr.ssa Zana) ha emanato un’interessante ordinanza in materia di tutela di disegno non registrato e concorrenza sleale parassitaria con riferimento alla copia dei disegni di alcuni tessuti.

Il procedimento era stato avviato a fine dicembre 2015 da uno storico cotonificio italiano specializzato nella produzione e vendita di tessuti per camicie di alta gamma (il “ricorrente”) nei confronti di altra azienda italiana attiva nella rivendita di tessuti (la “resistente”). Quest’ultima era accusata di avere violato i diritti del cotonificio tramite la commercializzazione di 54 modelli di tessuti costituenti copia di quelli del ricorrente; ma si difendeva affermando: i) di non avere prodotto ma acquistato i tessuti da aziende cinesi; ii) che queste ultime producevano i tessuti in questione da prima del ricorrente, ciò che determinava la mancanza di novità – e quindi di tutelabilità – dei disegni azionati; iii) che in ogni caso i propri tessuti erano diversi da quelli del ricorrente.

Nell’ordinanza in commento, il Giudice accerta preliminarmente la validità dei disegni non registrati del ricorrente e la loro conseguente tutelabilità a livello comunitario per tre anni dalla divulgazione, ai sensi del Regolamento CE n. 6/2002. In particolare, la decisione rileva che il ricorrente aveva fornito adeguata prova della presentazione dei propri tessuti alla fiera di Milano “Unica” (una delle più importanti del settore) nel settembre 2014 e febbraio 2015: ciò viene ritenuto sufficiente a “inferire la probabile conoscenza degli specifici tessuti di cui si tratta negli ambienti specializzati”, come richiesto dal Regolamento perché essi possano essere tutelati come disegni non registrati. Dall’altro lato, continua il Giudice, la resistente non aveva invece fornito prova della precedente commercializzazione da parte delle proprie fornitrici cinesi, prova che peraltro avrebbe dovuto essere fornita con riguardo alla commercializzazione in Europa, per poter privare di novità i disegni del ricorrente. Questi ultimi possedevano quindi il requisito della “novità” imposto dalla legge, oltre al “carattere individuale” pure richiesto per la loro tutela: essi generavano infatti nell’utilizzatore informato una impressione di dissomiglianza rispetto a quelli divulgati anteriormente, vista la “peculiare combinazione di linee e colori” che li caratterizzava.

Accertata così la validità e tutelabilità dei disegni, il Giudice accerta anche la contraffazione dei medesimi da parte dei tessuti della resistente, il tutto ovviamente nei limiti del giudizio cautelare. A riguardo, la decisione premette che, trattandosi di disegni non registrati, la tutela dei medesimi è limitata alla loro riproduzione da parte di terzi, non potendo essere estesa oltre i casi di sovrapponibilità (a differenza che per il disegno registrato, ove la tutela “si estende a qualsiasi disegno o modello che non produca nell’utilizzatore informato un’impressione generale diversa”); considerazione per la verità opinabile, come confermato anche dalla decisione medesima che ricorda la dottrina secondo cui la portata dell’esclusiva riconoscibile al disegno non può mutare a seconda del fatto che lo stesso sia stato registrato o meno. In ogni caso, nel procedimento in questione il Giudice ritiene sussistere tale sovrapponibilità: “le varianti (presenti peraltro solo in alcuni dei disegni della resistente) sono talmente esigue ed impercettibili anche all’utilizzatore informato (in quanto consistenti in minime sfumature di tonalità dei colori o in minime variazioni della dimensione del medesimo disegno) da far apparire i tessuti litigiosi del tutto identici”.

In aggiunta, la decisione ritiene che il comportamento della resistente configuri anche atto di concorrenza sleale parassitaria ai sensi dell’art. 2598 co. 1 n. 3 c.c., trattandosi di una pluralità di atti (alias la riproduzione di 54 modelli) che, considerati nel complesso, integrano uno sfruttamento del lavoro altrui contrario alla correttezza professionale, determinando l’indebita appropriazione degli investimenti di ricerca e sviluppo del ricorrente al fine di entrare sul mercato a costi ridotti. Del resto, commenta il Giudice, “il fatto che si tratta di ben 54 disegni, che costituiscono il 13,5% di tutta la collezione della resistente, rende implausibile sotto il profilo matematico probabilistico ritenere che la ripresa delle stesse soluzioni formali sia stata involontaria ed inconsapevole e quindi configurabile quale sorta di mera coincidenza”.

Alla luce di quanto precede, rilevato che la produzione dei tessuti da parte delle fornitrici cinesi non esclude comunque l’illiceità della commercializzazione posta in essere dalla resistente, il Giudice inibisce quest’ultima da ogni ulteriore commercializzazione dei tessuti in questione, con fissazione di penale di € 1.000 per ogni successiva violazione, e ordina la pubblicazione del dispositivo del provvedimento su “Il Corriere della Sera” e “Vogue”, condannando la resistente a risarcire le spese legali per € 7.000 oltre al 15% di spese generali e accessori.

La decisione potrà ora essere oggetto di reclamo, ovvero essere rimessa in discussione nell’ambito di un eventuale giudizio di merito tra le parti.

Indietro
Indietro

Per il TUE la forma delle nuove bottiglie Coca-Cola non può essere registrata come marchio comunitario

Avanti
Avanti

Accertamento negativo di contraffazione e onere della prova (Trib. Bologna, sent. n. 302/2016)